Hanno scritto di lui:

 

 

 

« Per meglio comprendere l’opera di Gianfranco Rizzi, occorre avere confidenza con il suo modo di disegnare; è un modo corsivo e analitico, ma che tuttavia conosce il punto in cui la traccia può essere terminata e il momento in cui l’analisi deve essere considerata conclusa. Oltre questo momento, infatti, l’analisi diverrebbe una vera vivisezione di cose e di creature dolenti.

Questo giovane artista rivela in ognuna delle sue espressioni una sostanziale attitudine grafica e nelle sue opere il disegno manifesta ciò che vuole essere e ciò che esattamente è: lo strumento più vicino alla ragione, lo strumento che meglio di tutti gli altri si adatta alla fluidità del pensiero umano, in grado di seguire le sue improvvisazioni, le sue deviazioni, le sue espansioni, i suoi arresti,  le sue pause.

Questa corrispondenza o affinità tra disegno e pensiero è importante e vitale, perché anche questo è evidente, Rizzi ha qualche cosa da dire, e la sua attività artistica è un sistema per comunicare con se stesso, con gli altri, con il mondo circostante visibile e invisibile. Allo stesso modo è evidente che il giovane artista vuole parlare con la maggiore franchezza possibile… Ciò che Gianfranco Rizzi vuole dire è pertinente alla situazione dell’uomo moderno nel mondo moderno, perciò contiene qualche elemento dell’ansietà, se non proprio dell’angoscia, che gli uomini sentono oggi crescere dentro di sé e negli avvenimenti che li sopraffanno. La sua opera ostenta una corruzione materica, abilmente evocata con il tratto del disegno e con la variata pressione del nero sul bianco…, forse è giusto vederci la reazione spontanea di uno spirito sensibile di fronte alla realtà della vita di ogni giorno…,[di un artista che lavora, assiduamente] cercando di illuminare lo spettacolo che si svolge dietro la facciata dell’ordine. ».

                                                                                              Luigi Carluccio, 1963

 

 

« Ha diciannove anni questo strano ragazzo che sembra ancora un bimbo ed è invece un artista che sa benissimo cosa può arrivare a fare.

Già il notissimo critico, Luigi Carluccio, si è espresso con parole elogiative sul Rizzi e, come Carluccio, altri critici non hanno potuto negare le qualità positive del ragazzo pugliese.

Nulla c’è di improvvisato nella pittura e nel disegno di Gianfranco Rizzi. Il ragazzo proviene da regolari studi artistici e le sole fantasie che si permette sono i temi, le favole surreali, che traduce nei suoi quadri, forse ancora legate al ricordo vicino dell’infanzia e già distaccate in un’apertura di vita di filosofia intravista.

Il disegno è “costruito” con equilibrio sicuro ed il colore si lega al disegno quasi l’uno fosse stato creato per l’altro. […] La nostra sicurezza, sulle possibilità del giovane Gianfranco, non posa su speranze, ma su certezze collaudate da quanto sin ora egli ha fatto e su quanto, malgrado l’età, ha nel suo bagaglio di studi e di ricerche d’arte.                         

                                                                                              Titti Bianco, 1965

                                                           Signoria delle Arti, Firenze, anno X, aprile-giugno 1965

« Non vi è dubbio che, sin dagli inizi, Gianfranco Rizzi abbia dimostrato eccezionali qualità di precisione ottica e di sicurezza manuale. Ma questo, da solo, avrebbe potuto approdare anche soltanto a un virtuosismo senza rilevanza per un discorso non accademico, se Rizzi non avesse saputo vitalizzare ben presto queste qualità spontanee con l’autocontrollo di una riflessione serrata sul significato dell’arte contemporanea, sul senso delle sue ricerche e, se si vuole, delle sue peripezie ed avventure. Si sa che uno dei motivi fondamentali di queste ricerche è costituito dal problema dello spazio, e la visione che dello spazio Rizzi propone allo spettatore è tanto personale quanto sicuramente inserita nel quadro del gusto contemporaneo e della sua indagine sulle strutture elementari della percezione. Il rapporto dialettico interno-esterno (si tratti dello spazio di un edificio costruito dalla tecnica umana, basilica o palazzo, o di quello organato dalle forze produttrici della natura: la struttura di un animale marino o di un vegetale) diventa infatti nella pittura più recente di Gianfranco Rizzi, un tema essenziale.

Anzi: tra i due elementi, artificiale ed organico, si stabilisce uno scambio attivo. Così la carcassa di un pesce potrà rivelar quasi scheletro un complesso meccanico, un sistema di alberi portanti, di giunti cardanici, di pulegge e di trasmissioni, come se un mondo di robot fantascientifici si celasse sotto la maschera della realtà animale. E Rizzi si compiace di accostar maschera e decifrazione. Attraverso una tecnica in cui alla sottile sapienza disegnativa, al virtuosismo di chi è padrone dei segreti del disegno, anche inteso in senso tradizionale, egli accosta la tecnica, moderna ma già illustre, del “collage” per moltiplicare i registri della sua resa espressiva, la tastiera delle variazioni e dei toni che si oppongono e si compongono nella sua complessa ma coerente visione figurativa, si fa multipla e sempre imprevista. E la disponibilità materiale del pezzo mobile, da incollare, offre a Rizzi il pretesto e la tentazione di operazioni più radicali: lo “strappo” gli fornisce una disponibilità pressochè indeterminata di combinazioni con cui gioca, in un esercizio di sapienza persino elegante e lirica, quanto più si vorrebbe audace e provocatoria.

Delle foglie contrapposte e un volto, l’interno di un pesce opposto alla sua eterna sagoma accuratamente dipinta: e magari, a svelar quale violenza e ricchezza del moto iniziale, della ragione prima del suo dipingere, sia alla base di quella scaltrezza intellettuale, l’accendersi e il rutilare dei colori nelle composizioni a olio, di ricca e cupa enfasi barocca, non senza avventatezze e ridondanze, ma con sicuro piglio di grande decoratore, di virtuoso, enfatico e sensuale, del pennello e del gesto ampio con cui lo si può manovrare. Esuberanza? Ricchezza contraddittoria? Forse, ma felice esuberanza e felici contraddizioni. […] Unire a una tradizione barocca nelle sue decorative propagini ottocentesche lo scatto demistificatorio delle ricerche dell’arte contemporanea era una scommessa difficile a vincere, e ci pare che Gianfranco Rizzi abbia affrontato la prova con esito sicuro. […]

La pittura di Gianfranco Rizzi mantiene una così ricca carica di vena nativa, schietta, si direbbe quasi popolaresca anche nelle prove più intellettualistiche, da farci ritenere che il pubblico accetterà questa offerta della visione audace eppur lirica di un giovane pittore colla stessa cordialità con cui gli viene proposta. […] Temperamento e intelligenza non sempre vanno congiunti in artisti, pur ricchi dell’uno o dell’altra; tanto maggiormente, crediamo, dobbiamo rallegrarci di vederli agevolmente e generosamente affermarsi insieme nell’opera di questo pittore».

                                                                                  Albino Galvano, 1969

«Gianfranco Rizzi è un giovane pittore foggiano che però ha vissuto e vive a Torino, dove si era trasferito il padre, anch’egli pittore. E presso il padre – forse più che nell’Accademia Albertina dalla quale si è diplomato – ha svolto un accurato e intelligente tirocinio.

Questo spiega perché, nell’artista ancora ventiduenne, colpisca la raffinatezza tecnica, di mestiere.

Si fonda essenzialmente su una grafia elegante e acuta, capace di nervosità o di guizzi, come di esatte geometrie. Sullo sviluppo del segno è cresciuta una pittura ricca di luminescenze.

Rizzi ha affrontato il problema di collocare il suo talento naturale, l’attitudine scenografica, la piccante agilità del segno, in una dimensione più problematica: l’affrontare l’incontro con l’avanguardia, intesa come esplorazione della realtà di coscienza contemporanea. Egli ha fatto riunire l’astrazione intellettuale dei progetti geometrici con la concretezza vitale del collage e della carta strappata che determinano una immagine concreta e, allo stesso tempo, corrosa dall’inquietudine e dall’ironia.

Ecco per esempio il pesce-pittura con il suo gemello in cocci di carta, eppure tanto più vivo, come più vivo è oggi il dubbio rispetto alla certezza, la storia nei confronti della natura; ecco il grande animale nel quale la struttura matematica coincide col puzzle dei frammenti di carta, quasi uno scoprire nuovamente sotto la pelle l’eccitata ragione della carne».

                                                                                              Pietro Marino, 1969

(La Gazzetta del Mezzogiorno)

 

 

 

«Il successo di Gianfranco Rizzi è scaturito in gran parte dalla componente culturale. Il lato tecnico, in sé rilevante, non basta a spiegare da solo l’exploit che l’artista ha registrato in campo nazionale.

La pittura di Rizzi svetta per originalità e validità. Originale perché apre un nuovo cammino e dà corpo e continuità al ragionamento marcusiano. La curiosità di Gianfranco Rizzi di penetrare l’oggetto nelle sue attenzioni pittoriche diventa un’intima esigenza interiore».

                                                                                              Gaetano Saracino, 1969

(Il Mattino, 9 gennaio 1969)

 

 

 

« La “personale” del pittore concittadino Gianfranco Rizzi costituisce, per gli ambienti artistici della Daunia, la cosiddetta ventata di novità. Novità rappresentata innanzi tutto da una tematica originale

scaturita dalla fantasia di un pittore giovanissimo, ma già in possesso di una preparazione tecnica invidiabile.

L’artista foggiano ha voluto mostrare al suo pubblico una produzione artistica degli ultimi tre anni.

I primi tre anni, diciamo noi, della sua intensa ed interessante attività che lo hanno condotto, nel volgere di così breve tempo, alla notorietà sul piano nazionale.

Osservando un qualsiasi elaborato di Gianfranco Rizzi si prova la piacevole sensazione di entrare in un mondo fantastico popolato di immagini e figure assai note ma inesplorate.

L’introspezione anatomica e strutturale è stata attuata in termini efficaci e realistici.

Gianfranco Rizzi, invece, ha affondato, come suol dirsi, il bisturi della sua analisi artistica. Pur non disdegnando l’analisi contemplativa dell’oggetto delle sue attenzioni ha voluto anche sezionarlo per prospettarlo in una dimensione surrealista.

Il tratto grafico agile e nervoso di Gianfranco Rizzi denota una capacità di sintesi notevole ed una facilità narrativa non comune. Il colore, poi, sapientemente dosato, sottolinea ed esalta il costrutto sempre assai interessante. È pittura d’avanguardia, s’intende; pittura nella quale emerge la personalità quanto mai estroversa dell’artista sempre pronto a dialogare in termini realistici e pratici con la natura. Quella natura che per l’artista sprigiona ancora un fascino primordiale e qualche volta anche fantastico.

Visitare la mostra è come assistere all’inizio di un racconto assai interessante del quale poi si prova piacere ad immaginarne lo sviluppo e la conclusione sempre esaltante.

Gianfranco Rizzi ci ha mostrato, per il momento, soltanto le prime pagine dell’ideale volume della sua luminosa vita artistica. Il seguito sarà senz’altro avvincente. Il successo conseguito a Foggia dall’artista concittadino, alla presenza di note personalità del mondo dell’arte e della cultura, ci autorizzano a pronosticarlo.»

                                                                                              Gaetano Saracino, 1969

                                                                                              (Il Mattino, 22 gennaio 1969)

 

 

 

 

«Nella mostra personale al Palazzetto d’Arte, Gianfranco Rizzi presenta un impegno artistico e culturale in estrema aderenza ad una nitida ed audace visione figurativa.

Questo artista […] ha offerto un lodevole saggio di sintesi, facilità di linguaggio ed estrema coerenza. Un dialogo aperto e franco senza inutili orpelli all’insegna della praticità ed essenzialità. […] Gianfranco Rizzi si è rivelato, pertanto, un efficace interprete dei nostri tempi con una pittura che ne esprime la funzione.

Nell’ansia sempre più pressante di porgere le sue interessanti concezioni, il disegno di Gianfranco Rizzi si snoda agile e continuo per giungere ad una resa figurativa armoniosa ed equilibrata. Il resto è affidato all’innato senso cromatico laddove esplosioni vulcaniche di note coloristiche accentuano e sottolineano la validità di un costrutto ordinato.

Nell’era di un materialismo più vieto ci viene proprio da un giovanissimo l’imperativo di un colloquio. L’invito, a quanto ci risulta, è stato da più parti accettato. Nell’ideale dialogo raffiorano qua e là, nei vari pregevoli componimenti, reminescenze storiche e culturali.

Gianfranco Rizzi con il suo discorso pittorico si è rivelato portatore di un messaggio umano ed artistico assai rilevante nel panorama della giovane pittura contemporanea. »

                                                                                              Gaetano Saracino  1969

                                                                                              (Il Gazzettino Dauno)

 

 

«A chi ha avuto modo di vedere la monumentale opera scultorea situata nel piazzale dell’aeroporto civile “Gino Lisa” di Foggia, può facilmente aver prova di quella straordinaria conoscenza e abilità tecnica che Gianfranco Rizzi possiede. Acciaio, ferro forgiato, bronzo, rame, ottone, si inseguono, si intrecciano, si contrastano per afferrare i contorni di una forma emblematica del “Volo” da trasmettere sensazioni di perenne instabilità. […] Con una verifica critica costante degli strumenti operativi in possesso, Gianfranco Rizzi ha intelligentemente obbedito a reali necessità d’espressione sviluppando cioè un linguaggio dall’interno. […] Le forme, i segni, le strutture sintattiche del materiale adoperato sono preparati e scelti in funzione di stilistica e di comunicativa, ma per una chiara estensione di quella tematica che possiede come unica unità il sentimento drammatico, con il quale l’uomo e la natura vengono rappresentati con il loro destino inscindibile, vivendo ed attuandosi con tragica ineluttabilità».

                                                                                              Maurizio Mazza, 1971

Direttore del Museo Civico e Pinacoteca di Foggia

 

 

 

«Gianfranco Rizzi nel 1969 ha realizzato nel piazzale dell’aeroporto Gino Lisa di Foggia una monumentale opera di scultura, dando prova di una straordinaria tecnica e fornendo una complessa visione della poliedricità degli aspetti della sua opera e della sua ortodossia esecutiva, condotti sempre da una verifica critica costante delle possibilità più efficaci dei mezzi della comunicazione estetica».                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     Gaetano Saracino, 1971

 

 

 

«Non sarebbe quindi avventato sostenere che la pittura del giovane artista foggiano più che nel risultato, considerato come oggetto concluso, è da ricercarsi nel suo farsi, cioè nel rapporto scoperto, dichiarato e sempre abilmente sollecitato, organico e meccanico al medesimo tempo, esistente tra i vari elementi della costruzione pittorica. […] E subito, tra sfondo e soggetto, si stabilisce un’antitesi ed una interdipendenza; urto, rottura, ma anche compenetrazione e complementarietà. Da questo giuoco assimilazione-rigetto si sprigiona, com’è naturale, una tensione, quasi una forza gravitazionale, cosicché gli elementi dell’insieme si comportano come altrettanti punti di riferimento di un’unica serie di rapporti. Un contrappunto analogo ritroviamo nel trattamento dello stesso soggetto. Questo infatti scompone e dialettizza la propria struttura “interno- esterno”, cioè l’involucro formale e la sua architettura segreta, con l’apporto ulteriore di traslati, riferimenti allusivi, associazione di idee e di immagini. […] Fondo e soggetto; composizione e scomposizione del soggetto; superamento del dato immediato attraverso il richiamo e l’accostamento estroso… il gusto per il pezzo vero liberamente usato, sono elementi ricorrenti nella pittura di Gianfranco Rizzi. […] Naturalmente passando dal quadro, sia pure potenzialmente scenografico, alla scenografia vera e propria si accentua in qualche misura l’aspetto funzionale dell’insieme, che viene a porsi per evidenti motivi ed esigenze con il mondo e la meccanica del testo teatrale. […] La scena del Rizzi è ottenuta con l’accumulo delle “stazioni” (si veda ad esempio il caso dell’ ”Opera da tre soldi”) grazie al quale si realizzano i principi della simultaneità e della molteplicità…[…] La scena dunque si dichiara apertamente come scena, cioè propone ed annulla l’illusione, si offre come finzione (il che è uno dei dogmi del teatro moderno) utilizzando però in modo suggestivo la stessa confessione di tale sua condizione. […] Se è vero che Rizzi ci rivela gli ingranaggi della sua costruzione, la quale esce in tal modo dalla dimensione puramente illusionistica, è anche vero che con tale operazione mira più ad arricchirla  emotivamente e fantasticamente che non a dialettizzarla e a ribaltarla in una sorta di straniamento».

                                                                                              Gian Renzo Morteo, 1971

 

 

 

« Il re è giunto a Foggia. Un monarca lirico, un re da favola… ma animato, seducente, doppiamente artistico, due volte “foggiano”. Il genio musicale di Umberto Giordano ha dato note e canto alla sua voce; l’estro originale di un altro artista – Gianfranco Rizzi, foggiano anch’egli, di riconosciuto talento malgrado la giovane età – lo ha rivestito in costumi moderni e suggestivi, vagamente stilizzati. …, mai  Il re era stato rappresentato a Foggia. Le sue pagine musicali sono comunque familiari… . Restano da “scoprire”, forse, proprio i costumi: che non sono semplici panni – anche se sfarzosi- di scena, ma costituiscono una seconda epidermide – esteriore ed interiore al tempo stesso- del personaggio. Per idearli e tradurli in linee e schizzi Gianfranco Rizzi ha usato cuore e sensibilità, prima che pennello e colori. Ha assimilato lo “spirito”…pronto a dare ai protagonisti della favola giordaniana abiti e carattere, costumi e personalità. Personaggi storicamente ben inquadrati ma volutamente “anonimi”. […] Resta così intatto il vago e un po’ irreale sapore di fiaba attraverso i costumi nei quali Gianfranco Rizzi sembra aver trasposto perfettamente tecnica e ispirazione, ma soprattutto lo stile – originale e personalissimo- che già distingue i suoi quadri.»

                                                                                              Marco Laratro, 1971

                                                                       (La Gazzetta del Mezzogiorno, 10 ottobre 1971)

 

 

 

«La pittura come la scenografia di Gianfranco Rizzi è sempre sostenuta da un’affascinante irriquietudine formale che si aggroviglia e si snoda in fitte e composite articolazioni grafiche, dove l’analisi tra coscienza e realtà diventa la presa di possesso e il fine più umanamente significativo di retaggio conflittuale che la nostra situazione storica porta dentro di sé. […] Ricordiamo il cammino artistico di Gianfranco Rizzi... che comprende l’emblematica e suggestiva scultura che campeggia sul piazzale antistante l’aeroporto “Gino Lisa”,  oltre al pregio di un ammirevole eclettismo, che in scenografia lo ha fatto passare con estrema disinvoltura dal teatro drammatico a quello lirico, agli autori più vari (Shakespeare, Molière, Bizet, Malipiero, Andrejev, Eliot, Mozart, Sartre, Pirandello, fino a Giordano, per il quale proprio a Foggia in una recente stagione lirica ha curato in maniera suggestiva la scenografia de “Il Re”) ».

 Marco Laratro, 1974

 

 

 

« Sin dalla prima osservazione delle sue opere si nota che egli sa vedere oltre il limite di una comune prudenza preferendo una certa indipendenza che è anche giustificato motivo alla sua piacevole originalità.

Egli procede per linee interne e ragionate verso il fuoco centrale del quadro che, ricomposto nel suo insieme da luci e colori, propone agli osservatori una realtà vivificata da assilli di ricerca e di meditazione.

La ricerca di Gianfranco Rizzi, appunto, si esprime con assoluta coerenza quale prodotto di una rigorosa indagine che riesce a trasformare il fatto artistico in atto di poesia e di amore.

Insistendo su questa strada Gianfranco Rizzi si manifesta artista riflessivo e serio che non dimentica la misura umana delle cose, il mondo, il tempo e lo spazio.

Egli si esprime, svolgendo i suoi temi preferiti, in maniera pulita e ordinata così come è il suo carattere di uomo sereno e riservato, dal respiro ampio e dai programmi vastissimi. (…)  Il serbatoio di speranze di ieri è già diventato oggi una concreta realtà che si muove con sicurezza nel difficile campo della vera arte».

                                                                                              Leonardo Procino, 1975

 

 

 

 

Per completare il progetto di rinnovamento dell’aeroporto “Gino Lisa” di Foggia, « ci si orientò per un significativo monumento e si bandì il rituale concorso. Che fu appannaggio di Gianfranco Rizzi (che già si era presentato alla città con una personale nel 1969, mostrando, tra l’altro una “Crocifissione” mirabile) foggiano, artista spesso citato nelle cronache, docente all’Accademia di Torino, dove ormai risiedeva. Gianfranco Rizzi … si affermò col suo progetto ed ebbe assegnato l’incarico di realizzarlo.

Grande folla di autorità politiche, amministrative, tecniche culturali e di cittadini alla installazione e inaugurazione dell’opera di scultura, in ferro forgiato, acciaio, bronzo, rame e ottone. Un’opera moderna, originale, ammirata e che continua tutt’oggi, ad essere oggetto di ammirazione da parte di tutti. ...»

                                                                                                Mario Ricci, Pino Ruscitti

                                                                                  Arti visive in Capitanata. 1951- 2000”

                                                                                       Foggia, Edizioni Diomede, 2004